
Focus Imprese 2020: Ecco i dati di Unioncamere Lombardia sull’artigianato
Nella mattinata del 30 luglio 2020 si è tenuta Focus Imprese 2020, la conferenza stampa di Unioncamere Lombardia in collaborazione con Regione Lombardia, Confindustria Lombardia e CNA Lombadia, insieme alle Associazioni regionali dell’Artigianato.
Durante la conferenza sono stati presentati i dati sull’andamento economico di industria e artigianato in Lombardia nel secondo semestre 2020. Quali sono i dati relativi all’andamento economico dell’artigianato Lombardo nel secondo semestre 2020? Scoprilo in questo articolo.
I Dati
I settori più a rischio: pelli e calzature, tessile, abbigliamento, legno e mobilio
La produzione manifatturiera artigiana in Lombardia nel secondo trimestre 2020 registra un calo del -24,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, mentre la produzione industriale un peggioramento del -20,7%, effetto dei provvedimenti di contenimento della pandemia in lockdown e fase2. I settori produttivi artigiani più colpiti da aprile a giugno sono pelli e calzatura (-46,8%), tessile (-34,2%), abbigliamento, legno e mobilio (-29%).
Cash Cautelativo
Dall’indagine in tema di cash cautelativo emerge che le famiglie italiane nel cuore della pandemia (febbraio-aprile) hanno accumulato 34,4 miliardi di euro, da aggiungere ai 121 miliardi di risparmio aggiuntivo dei tre anni precedenti.
“È il segnale – commenta Daniele Parolo, Presidente di CNA Lombardia, in rappresentanza delle Associazioni Regionali dell’Artigianato – di un fenomeno di immobilizzazione della ricchezza finanziaria che, se da un lato configura la reale presenza di riserve in un quadro di non trascurabile solidità, dall’altro denuncia un tic difensivo di intere fasce della società che dobbiamo invece incoraggiare ad alimentare la domanda e a sostenere, direttamente o indirettamente, gli investimenti.
Rispetto a questo quadro, non possiamo ignorare le differenze strutturali tra artigianato ed industria, per esempio in ordine alla densità degli scambi commerciali con l’estero e pertanto sia all’intensità della caduta di fatturato (decisamente superiore quella del comparto artigiano) sia all’energia e alla rapidità del ritorno alla crescita. L’artigianato appare fisiologicamente più ancorato all’andamento dei consumi delle famiglie e alla domanda interna. Anche sul piano del finanziamento della sopravvivenza delle imprese e del loro rilancio in questa fase, mentre l’industria è visibilmente più in possesso di mezzi propri, la centralità del credito bancario per le imprese artigiane appare come un fattore da considerare anche in ordine alle politiche da attuare”.
Credito e investimenti
Dai dati Unioncamere emerge inoltre come rispetto al 2019 sia aumenta la fetta di coloro che ricorrono al credito per esigenze di liquidità e cassa (dal 40,5% al 62,5% per le industrie; dal 45,5% al 65,8% per l’artigianato) o per consolidamento/ristrutturazione del debito (dal 4,9% al 9,4% per le industrie; dal 5,3% al 9,9% per l’artigianato).
Sul lato industria aumentano gli accessi al credito per fare investimenti produttivi (49,3% dei casi, rispetto al 48,6% del 2019), mentre dal lato artigianato si avverte una contrazione, sulla base di una cifra già di per sé di diversa dimensione (si passa dal 31,9% del 2019 al 30,2% del 2020).
Il clima di fiducia dei consumatori italiani
La propensione al risparmio, che rischia di congelare consumi e quindi la domanda interna, è confermata anche dalle previsioni di molti istituti bancari, che monitorano costantemente l’andamento dei depositi. Un’indicazione puntuale proviene dal recente rapporto “Il valore della diversità nelle scelte d’investimento prima e dopo il Covid-19”, realizzato dal Censis in collaborazione con Assogestioni pubblicato lo scorso 9 luglio.
In particolare, il 68% degli italiani ha paura per la situazione economica familiare e a vincere la cautela, anche se le entrate del 71,2% dei percettori di reddito, ossia 28 milioni (tipicamente dipendenti delle grandi aziende private non in cassa integrazione o congedo parentale, dipendenti pubblici, pensionati) non sono state intaccate durante la fase più acuta dell’epidemia. In virtù della continuità nelle retribuzioni e tagli nei consumi hanno fatto sì che il 38,9% degli italiani abbia incrementato il proprio risparmio nel periodo del lockdown.
La percentuale sale al 49,1% tra i risparmiatori abituali. La liquidità delle famiglie italiane è quindi aumentata di 34,4 miliardi di euro nei tre mesi più neri dell’epidemia (febbraio-aprile), risorse che vanno ad aggiungersi ai 121 miliardi di euro di liquidità aggiuntiva accumulata negli ultimi tre anni, prima dell’esplosione dell’epidemia (+8,4% in termini reali nel triennio).
Il tema della “paura” è tuttavia tutt’altro che irrilevante. Una paura radicata nei territori e trasversale ai diversi gruppi sociali.
La percentuale sale al 72% tra i millennial e le donne, sfiora il 75% nel Sud, supera il 76% tra gli imprenditori e arriva all’82,6% tra le persone con i redditi più bassi. Nella fase post-emergenza, la paura da contagio e la minaccia alla salute si saldano ai timori per le incerte prospettive economiche. L’incertezza economica ed esistenziale riguarda il 49,7% degli italiani (il dato sale al 58,9% tra gli imprenditori).
L’unica certezza è che “tutto puo’ succedere”.
La possibilità che un evento inedito e inatteso possa cambiare in un attimo la vita delle ì persone fa esplodere un senso acuto di vulnerabilità e richiama una grande cautela, soprattutto nella gestione dei propri soldi, come dichiara il 39,7% dei risparmiatori (il dato sale al 45% nel Nord-Est). Paura, incertezza e cautela fanno decollare ancora il cash cautelativo, da tempo in crescita, come strumento familiare di autotutela. Se la tendenza proseguirà allo stesso ritmo del triennio trascorso, nel 2023 ci saranno altri 135 miliardi di liquidità aggiuntiva per le famiglie. Se si aggiunge che per il prossimo futuro il 34,1% degli italiani considera la liquidità lo strumento principale per la propria protezione, insieme all’ampliamento del sistema di welfare pubblico (34%) e all’acquisto di strumenti assicurativi, mutualistici, integrativi (18,6%), esiste più di un motivo per approfondire forme di stimolo di una domanda latente in attesa della definizione di un quadro di riferimento più chiaro e rassicurante.
Le conclusioni del Presidente Parolo
“Dai dati recentemente pubblicati a proposito dell’andamento economico dei territori – continua Parolo – appare un gap crescente tra le regioni più avanzate d’Italia e i principali competitor europei. Si pensi solo al fatto che la dinamica del PIL tra il 2010 e il 2019 è stata in Baviera pari al +21,8%, in Lombardia al +2,5%. Mentre in termini di PIL pro-capite la Lombardia si collocava nel 2010 davanti alla Baviera (36.027 euro contro 35.951 euro), nel 2019 le posizioni si sono violentemente rovesciate (48.323 euro la Baviera, 39.397 euro la Lombardia).
Questo dato realmente preoccupante dovrebbe dal nostro punto di vista stimolare il Governo a valutare seriamente i due dati simultanei del gap tra il Nord produttivo e il resto della Penisola e del gap che il Nord produttivo è destinato ad accumulare verso altre Regioni europee più competitive se non debitamente accompagnato e “liberato” nelle sue potenzialità.
Oggi non è allora certo il tempo di cogliere il dramma della pandemia globale per seppellire la richiesta di maggiore autonomia da parte delle 3 Regioni del che producono insieme il 41% della ricchezza nazionale.
Oggi appare piuttosto indispensabile pensare a come meglio tenere unita e forte la società del Paese definendo un piano nazionale e strutturato di interventi di incentivazione fiscale e semplificazione amministrativa per le aree e le filiere nelle quali possiamo riconoscere i driver della crescita: una sorta di Silicon Valley italiana, però diffusa in diverse aree del Paese e non necessariamente tutte al Nord”.
Leggi anche: